Disuguaglianza e crisi climatica vanno di pari passo, perché le conseguenze dei cambiamenti climatici hanno un impatto maggiore sui paesi più poveri, che meno contribuiscono all’attuale emergenza. In media ogni anno 189 milioni di persone vengono colpite da eventi climatici estremi nei paesi in via di sviluppo e questa tendenza non si interrompe da quando, nel 1991, si è iniziato a misurare i costi del cambiamento climatico per i paesi a basso reddito.
L’allarme viene da un nuovo rapporto diffuso dalla Loss and Damage Collaboration, di cui Oxfam fa parte, che in vista dell’inizio della Cop 27 in Egitto denuncia come i Paesi ricchi si siano ripetutamente opposti a qualsiasi tentativo di finanziare la risposta alla crisi climatica nei Paesi poveri, responsabili solo in minima parte dell’attuale emergenza (1).
Nei primi venti anni di questo secolo, il costo della crisi climatica in 55 fra i paesi più poveri del mondo conta perdite economiche da eventi climatici estremi per 500 miliardi di dollari.
‘Mentre i profitti per chi vende energia da combustibili fossili sono aumentati vertiginosamente da anni, milioni di persone che vivono nei luoghi più disagiati del pianeta pagano un conto salatissimo al cambiamento climatico. Il comparto fossile ha realizzato profitti stratosferici tra il 2000 e 2019: un ammontare che supera di quasi 60 volte il costo della crisi climatica nei 55 Paesi più vulnerabili analizzati’, dice Francesco Petrelli, policy advisor di Oxfam Italia.
Secondo le stime del report, il 79% delle vittime registrate e il 97% delle persone colpite da eventi climatici estremi dal 1991 viveva nei Paesi in via di sviluppo. Nello stesso periodo il numero di disastri climatici nelle aree più povere del pianeta è più che raddoppiato. E ha causato oltre 676 mila vittime.
La crisi climatica è una crisi dei diritti dei bambini. Mette a rischio la loro stessa sopravvivenza, nonché la tenuta dei servizi destinati all’infanzia. Per i nostri bambini, dice l’Unicef, questo è stato probabilmente l’anno più freddo della loro vita. Le ondate di calore minacciano direttamente la salute dei più piccoli e mettono in pericolo l’accesso al cibo e all’acqua, l’istruzione e i futuri mezzi di sostentamento. Secondo l’Unicef entro il 2050 ci saranno 2 miliardi di bambini che dovranno affrontare frequenti ondate di calore.
Nell’agosto 2021, l’UNICEF aveva lanciato l’Indice di rischio climatico dei bambini (2). Il dossier già evidenziava che 1 miliardo di bambini a livello globale, quasi la metà dei bambini del mondo, sono esposti a un “rischio estremamente elevato” di subire shock climatici come ondate di calore, cicloni, inondazioni e scarsità d’acqua. La lista è allarmante: ci sono 1 miliardo di bambini esposti a inquinamento atmosferico; 920 milioni a scarsità d’acqua; 820 milioni a ondate di calore; 400 milioni a cicloni; 240 milioni a inondazioni costiere. E non è finita qui. Inoltre i paesi più colpiti da choc climatici e ambientali spesso devono affrontare più rischio sovrapposti.
Quest’anno l’Unicef ha analizzato più da vicino le ondate di calore e il loro impatto sui bambini in un rapporto il cui titolo dice già tutto: “L’anno più freddo del resto della loro vita. Proteggere i bambini dall’impatto crescente delle ondate di calore”. (3)
559 milioni di bambini, ovvero 1 su 4, sono attualmente esposti a una frequenza elevata di ondate di calore. Entro il 2050, si prevede che quasi tutti i bambini sulla terra – poco più di 2 miliardi – dovranno affrontare frequenti ondate di calore, indipendentemente dal fatto che il mondo raggiunga uno “scenario a basse emissioni di gas serra”, quindi con un riscaldamento stimato di 1,7 gradi nel 2050, o uno “scenario a emissioni di gas serra molto elevate“, con un riscaldamento stimato di 2,4 gradi nel 2050.
In uno scenario a basse emissioni, ci saranno 100 milioni di bambini esposti a una gravità elevata delle ondate di calore (oggi sono 28 milioni) che diventeranno 212 milioni in uno scenario a emissione elevate.
740 milioni di bambini vivono oggi in Paesi che registrano un caldo estremo (con 84 o più giorni all’anno che superano i 35 gradi). Diventeranno circa 816 milioni entro il 2050 in uno “scenario a emissioni di gas serra molto elevate”.
Da questo quadro allarmante arrivano le richieste dell’Unicef alla COP27 che si svolgerà fra pochi giorni in Egitto:
«I Paesi sviluppati devono mantenere gli impegni assunti alla COP26 di raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento climatico, portandoli almeno a 40 miliardi di dollari all’anno entro il 2025, come passo verso la destinazione di almeno 300 miliardi di dollari all’anno per l’adattamento entro il 2030. Tutti i governi devono rivedere i loro piani climatici nazionali e ridurre le emissioni di almeno il 45% entro il 2030 per mantenere il riscaldamento a non più di 1,5 °C. I Paesi del G20 dovrebbero agire in prima linea. Inoltre, la COP 27 deve rappresentare un momento per ribadire che tutti i bambini e i giovani devono essere inclusi in tutti i processi decisionali relativi al clima».
Se questo è il quadro mondiale, l’Europa si ritrova a un punto cruciale, stretta nella triplice crisi della pandemia, della guerra in Ucraina e della crisi climatica. “The 2022 Europe report of the Lancet Countdown on health and climate change: towards a climate resilient future” è il report di The Lancet centrato sull’Europa, che evidenzia come il cambiamento climatico sia giù un enorme problema di salute pubblica. Con un mondo “pericolosamente vicino” al punto di non ritorno sul fronte del clima, la “crescente crisi energetica” e “la salute delle popolazioni sempre più minata dal riscaldamento globale”, dice il dossier, “l’Europa si trova a un punto cruciale per il cambiamento” (4).
I numeri dello studio sono impressionanti. Il 2022 è stata l’estate europea più calda mai registrata e l’aumento medio della temperatura in Europa è stata di quasi 1 grado superiore all’aumento medio della temperatura globale. Lancet parla di “impatti sulla salute sovrapposti e interconnessi” dai cambiamenti climatici e non solo.
L’esposizione della popolazione alle ondate di calore è aumentata in media del 57% nel periodo 2010-2019 rispetto al periodo 2000-2009 e di oltre il 250% in alcune regioni, e questo mette gli anziani, i bambini piccoli, le persone con patologie croniche di base e le persone che non hanno accesso adeguato all’assistenza sanitaria ad alto rischio di morbilità e mortalità legate al caldo. Il riscaldamento globale osservato tra il 2000 e il 2020 viene associato a un aumento della mortalità correlata alla temperatura nella maggior parte delle regioni monitorate.
Tra il 2011 e il 2020, il 55% delle regioni europee ha vissuto condizioni di siccità estiva da estrema a eccezionale. E gli eventi estremi legati al clima sono associati a perdite economiche record nel 2021 per un totale di quasi 48 miliardi di euro.
La crisi climatica fa sì che le malattie infettive diventino più trasmissibili. L’idoneità climatica alla trasmissione della dengue è aumentata del 30% nell’ultimo decennio rispetto agli anni ’50 e il rischio ambientale di epidemie di virus del Nilo occidentale è aumentato del 149% nell’Europa meridionale e del 163% nell’Europa centrale e orientale nel 1986–2020 rispetto al periodo 1951–85.
Le temperature più calde stanno spostando la stagione di fioritura di diverse specie arboree allergeniche: la stagione di betulle, olivi e ontani iniziano 10-20 giorni prima rispetto a 41 anni fa e questo ha un impatto sulla salute di circa il 40% della popolazione europea che soffre di allergie ai pollini.
Dal 2010 al 2020 rispetto al periodo 2000-2009, l’esposizione alle ondate di calore nei gruppi vulnerabili (over 65 e bambini fino a 1 anno) è aumentata del 57% in tutta Europa. Ma in alcune aree l’aumento è stato del 157%.
«Questi impatti sulla salute sovrapposti e interconnessi, che si stanno evolvendo sullo sfondo di una pandemia e di una guerra devastante in Ucraina, rivelano l’urgente necessità di interventi che rafforzino la resilienza nel settore sanitario e proteggano le persone dai crescenti rischi per la salute».
Per evitare un aumento catastrofico delle temperature globali, il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici ha chiarito che l’Europa deve decarbonizzare completamente il suo settore energetico entro il 2035, chiudendo tutte le centrali elettriche a livello globale entro il 2040. In realtà rischia di accadere il contrario, anche a causa della risposta alla crisi dell’energia legata alla guerra e a “decenni di ritardo nel passaggio alla produzione di energia a basse emissioni di carbonio”: si rischia di passare a una maggiore produzione di energia da carbone nel breve termine. Ma «anche come misura temporanea, un aumento dell’uso del carbone potrebbe sommarsi ai circa 8000 decessi annuali associati alle centrali elettriche a carbone, nel settore domestico, invertendo quello che si è guadagnato in sanità nell’ultimo decennio e minando gli sforzi per soddisfare Impegni dell’accordo di Parigi».
Nel frattempo l’Italia è il sesto paese più grande finanziatore internazionale di combustibili fossili. Fra il 2019 e il 2021 ha fornito 2,8 miliardi di dollari all’anno in finanza pubblica per i combustibili fossili. Solo il 3,5% dei finanziamenti internazionali del nostro Paese in tema di energia va alle rinnovabili (5).
(1) Oxfam disastri climatici https://www.oxfamitalia.org/disastri-climatici-colpiscono-189-milioni-di-persone-ogni-anno/
(2) Rapporto: un miliardo di bambini a rischio “estremamente elevato” per gli impatti della crisi climatica
(3) UNICEF verso COP27: entro il 2050 oltre 2 miliardi di bambini dovranno affrontare frequenti ondate di calore
(4) The 2022 Europe report of the Lancet Countdown on health and climate change: towards a climate resilient future
https://www.thelancet.com/journals/lanpub/article/PIIS2468-2667(22)00197-9/fulltext
(5) New Report: International public finance for fossil fuels dropped in 2021, but a rebound is likely unless key governments deliver on pledges https://priceofoil.org/2022/11/01/g20-increased-international-public-finance-for-clean-energy-is-the-solution-to-the-energy-crisis-not-more-fossil-investments/