La Commissione europea – nell’ambito della Strategia per la parità di genere 2020-2025, approvata dal Parlamento europeo il 21.1.21 (1) – ha adottato una proposta di direttiva volta a garantire la trasparenza salariale e la stessa retribuzione per identici lavori.
Lo schema della Commissione viene ora sottoposto all’esame politico di Parlamento europeo e Consiglio. Dopo che le tre istituzioni avranno raggiunto un’intesa e la direttiva sarà entrata in vigore, gli Stati membri avranno due anni per recepirla negli ordinamenti nazionali. A seguire i criteri e le nozioni introdotti nella proposta di direttiva, il contesto giuridico e la situazione in atto, le lacune che si ravvisano.
Trasparenza retributiva nelle offerte di lavoro. I datori di lavoro dovranno fornire informazioni sul livello retributivo iniziale direttamente nell’annuncio di offerta di lavoro, o comunque, prima del colloquio con il candidato. Inoltre non saranno autorizzati a chiedere informazioni sulle retribuzioni precedentemente percepite.
Diritto all’informazione dei lavoratori dipendenti. I lavoratori avranno il diritto di chiedere al proprio datore di lavoro informazioni riguardanti il loro livello di retribuzione individuale e i livelli salariali medi, ripartiti per sesso e per le categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore.
I soli datori di lavoro con almeno 250 dipendenti dovrebbero fornire informazioni pubbliche sull’eventuale divario retributivo tra dipendenti di sesso femminile e maschile che appartengano alla medesima categoria di lavoratori e svolgano le stesse mansioni o un lavoro di pari valore.
I confronti con i rappresentanti dei lavoratori per una valutazione congiunta delle retribuzioni sarebbero previsti solo qualora la relazione sulle retribuzioni rivelasse un divario retributivo di genere >5% e il datore di lavoro non fosse in grado di giustificare tale divario sulla base di fattori oggettivi e neutrali.
Gli indennizzi per i lavoratori che hanno subito discriminazioni retributive di genere dovrebbero avere effetto retroattivo. Vale a dire che al risarcimento si dovrebbe aggiungere il recupero integrale della retribuzione arretrata e dei premi non percepiti.
L’onere della prova ricade sempre sul datore di lavoro, il quale è tenuto a dimostrare l’eventuale giustificazione di retribuzioni difformi. In linea con la giurisprudenza prevalente della Corte di Giustizia (causa Danfoss. C-109/88, Handels- og Kontorfunktionærernes Forbund I Danmark contro Dansk Arbejdsgiverforening). (2)
Sanzioni e risarcimenti. Gli Stati membri dovranno introdurre sanzioni specifiche e livelli minimi di risarcimenti – per le violazioni delle norme sulla parità retributiva – che dovranno essere effettivi, proporzionati e dissuasivi. Tenuto conto di gravità e durata dell’infrazione, dolo o colpa del datore di lavoro e ogni altra circostanza.
Gli organismi per la parità (v. infra) e i rappresentanti dei lavoratori potranno agire in in nome e per conto dei singoli lavoratori discriminati, sia in procedimenti giudiziari o amministrativi, nonché condurre azioni collettive sulla parità di retribuzione.
Il concetto di ‘lavoro di pari valore’ espresso nella proposta di direttiva presuppone una valutazione della posizione lavorativa neutrale rispetto al genere. Vale a dire che le differenze retributive sono ammesse in quanto non discriminatorie e basate su una serie di criteri oggettive.
Si ha riguardo a istruzione, requisiti professionali e di formazione, competenze, impegno, responsabilità, lavoro svolto e natura delle mansioni da svolgere. Così la Corte di Giustizia UE nelle cause C-400/93 (Royal Copenhagen), C-309/97, (Angestelltenbetriebsrat der Wiener Gebietskrankenkasse. V. nota 3), C-381/99 (Brunnhofer), C-427/11 (Margaret Kenny et al. vs. Minister for Justice, Equality and Law Reform et al. V. nota 4).
La ‘retribuzione’ viene intesa in senso molto ampio, che comprende non solo il compenso economico di base ma anche aspetti complementari come gratifiche, indennità per straordinari, servizi di trasporto, indennità di alloggio, indennità per la partecipazione a corsi di formazione, indennità di licenziamento, maggiorazioni per straordinari, indennità di malattia previste per legge, indennità obbligatorie per legge e pensioni aziendali o professionali.
Il campo di applicazione della direttiva dovrebbe venire esteso ai datori di lavoro dei settori pubblico e privato nonché alle ONG (organizzazioni non governative, Enti del Terzo Settore in Italia), qualora agiscano in qualità di datori di lavoro.
La direttiva dovrebbe applicarsi a tutti i lavoratori, compresi quelli a tempo parziale e/o determinato nonché coloro che abbiano un contratto o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale.
I lavoratori, i lavoratori a chiamata, i lavoratori intermittenti, i lavoratori a voucher, i lavoratori tramite piattaforma digitale e domestici devono venire inclusi nel campo di applicazione della direttiva. Tirocinanti e apprendisti ricevono tutela qualora soddisfino i criteri dello status di lavoratore stabiliti dalla Corte di Giustizia europea (causa C-66/85 Lawrie-Blum; e più recentemente causa C-216/15 Ruhrlandklinik). (5)
Gli organismi per la parità – competenti in materia di lotta contro la discriminazione e per la parità di genere – dovrebbero poter agire non solo a sostegno delle vittime ma anche in loro nome, per la tutela degli interessi collettivi, in qualsiasi procedimento giudiziario e amministrativo. (6)
L’uguaglianza di genere è uno dei principi fondamentali dell’UE, cristallizzati nella Carta dei diritti fondamentali (art. 23) come nel Trattato (TUE, art. 2.3) e nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE. Art. 8, art. 157.1).
‘Ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore (…)’. (TFUE, art. 157.1)
A partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, quando vennero introdotte le prime direttive in questo campo, l’UE ha prodotto una vasta legislazione sulla parità di genere. (7) Soprattutto nel settore dell’occupazione, con provvedimenti su parità delle retribuzioni, sicurezza sociale, occupazione, condizioni di lavoro e molestie (direttiva 2006/54/CE. V. nota 8), lavoro autonomo (direttiva 2010/41/UE. V. nota 9), diritti al congedo parentale e di maternità (direttive 92/85/CEE e 2010/18/UE. V. note 10,11).
ll principio della parità retributiva, con buona pace del contesto giuridico sopra accennato, è tuttora applicato solo in parte. Il gender pay gap (divario retributivo di genere) in Unione Europea è infatti stimato nel 14,1%. (Eurostat, dati 2019), a fronte del 20% a livello globale.
Il differenziale tra retribuzioni determina ripercussioni a lungo termine sulla qualità della vita delle donne, esponendole inevitabilmente a un maggiore rischio di povertà ed emarginazione sociale. Oltre ad accentuare il divario retributivo pensionistico (gender pension gap) che in UE è addirittura pari al 29% (Eurostat, dati 2019).
Il Global Gender Gap Report 2020 segnala che l’Italia è scesa dal 70° al 76° posto mondiale nella classifica dei Paesi che attuano la parità salariale. (12)
Se si considerano gli stipendi medi annui, le differenze di retribuzione tra uomini e donne in Italia sono ancora altissime.
In Italia tuttora manca una cultura della trasparenza sui temi legati alle retribuzioni. Al punto che, ad oggi, non esistono dati aggiornati riguardo al gender pay gap. I dati a disposizione indicano un divario retributivo del 20,7% nel settore privato, 4,1% nel pubblico (dati 2017).
La pandemia ha colpito duramente le donne lavoratrici, poiché a seguito della chiusura delle scuole e dei servizi di sostegno è ricaduta su di loro una serie di responsabilità di assistenza nei confronti di figli e familiari in difficoltà, con pregiudizio anche grave alle loro condizioni e opportunità di lavoro. La crisi ha quindi messo in luce un sistema fallace, ove i diritti fondamentali alla parità retributiva e alle pari opportunità nel mondo del lavoro rimangono un’utopia.
La mancanza di trasparenza retributiva è uno dei principali ostacoli verso una piena integrazione salariale, in quanto:
– i lavoratori non dispongono delle informazioni di base necessarie a un confronto oggettivo tra i salari su ‘lavoro di pari valore’,
– i datori di lavoro, a loro volta, non sono incentivati a riesaminare il sistema retributivo. E perseverano nel mantenere politiche salariali discriminatorie.
La proposta di direttiva si riferisce alle sole aziende con più di 250 dipendenti. Ciò comporta di fatto l’esclusione del 67% circa dei lavoratori in UE dal suo campo di applicazione. E il conseguente esonero dei loro datori di lavoro dall’obbligo di relazioni sul divario retributivo di genere e di valutazione congiunta delle retribuzioni con i rappresentanti dei lavoratori.
La Confederazione Europea dei Sindacati (CES) – ove partecipano, tra gli altri, i sindacati italiani (CGIL, CISL e UIL) – dovrebbe perciò impegnarsi affinché i criteri stabiliti nella direttiva trovino la più ampia applicazione, a prescindere dalle dimensioni delle organizzazioni.
«Realizzando la parità di genere e l’emancipazione di donne e ragazze si darà un contributo fondamentale al progresso in tutti gli obiettivi e i traguardi. Il raggiungimento del pieno potenziale umano e dello sviluppo sostenibile non è possibile se una metà dell’umanità continua a essere privata della totalità dei diritti umani e delle opportunità.
Le donne e le ragazze devono avere pari accesso a un’istruzione di qualità, alle risorse economiche e alla partecipazione politica, nonché pari opportunità con gli uomini e i ragazzi per quanto riguarda l’occupazione, la leadership e il processo decisionale a tutti i livelli. Lavoreremo per un aumento significativo degli investimenti per colmare il divario di genere e rafforzare il sostegno alle istituzioni in relazione alla parità di genere e all’emancipazione delle donne a livello mondiale, regionale e nazionale.
Saranno eliminate tutte le forme di discriminazione e violenza nei confronti delle donne e delle ragazze, anche attraverso l’impegno di uomini e ragazzi. È fondamentale integrare sistematicamente una prospettiva di genere nell’attuazione dell’Agenda». (ONU. Agenda 2030, paragrafo 20. V. nota 13)
Elena Bosani e Dario Dongo
(1) Strategia per la parità di genere | Commissione europea (europa.eu)
(2) EUR-Lex – 61988CJ0109 – EN – EUR-Lex (europa.eu)
(3) Corte di giustizia causa C-400/93, Royal Copenhagen; causa C-309/97, Angestelltenbetriebsrat der Wiener Gebietskrankenkasse
(4) 62011CJ0427 (europa.eu)
(5) 1_IT_ACT_part1_v4.docx (europa.eu)
(6) Gender pay gap – transparency on pay for men and women (europa.eu)
(7) 4553-a-comparative-analysis-of-gender-equality-law-in-europe-2017-pdf-1-mb
(8) https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32006L0054&from=EN
(9) Direttiva 2010/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010, sull’applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un’attività autonoma e che abroga la direttiva 86/613/CEE del Consiglio (europa.eu)
(10) EUR-Lex – 31992L0085 – IT (europa.eu)
(11) EUR-Lex – 32010L0018 – EN – EUR-Lex (europa.eu)
(12) Global Gender Gap Report 2020 | World Economic Forum (weforum.org)
(13) https://unric.org/it/agenda-2030/ L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi.
Avvocata in Milano e Francoforte sul Meno. Esperta in diritto di famiglia, minorile e penale, è ora iscritta a un master universitario in diritto alimentare
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.