Il ‘biodiesel’ da olio di palma è insostenibile. E l’Antitrust (Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, AGCM), con provvedimento 15.1.20, condanna ENI S.P.A. a 5 milioni di euro di multa. Per avere ingannato i consumatori, presentando falsamente come green il carburante ‘ENIdiesel+’.
L’olio di palma è il grasso più economico e così più diffuso a livello planetario. La fenomenale crescita della sua domanda globale ha tuttavia stravolto le popolazioni e gli ecosistemi dei vari Paesi ove esso viene prodotto. A partire da Indonesia e Malesia, suoi primi produttori, ove negli ultimi due decenni si è registrato lo straordinario incedere delle rapine delle terre (o land grabbing) e delle deforestazioni di foresta primaria proprio per fare spazio alle monocolture di palma da olio. (1)
L’Italia è sempre stata uno dei primi importatori di questo grasso tropicale, molto apprezzato per il basso costo e la versatilità d’impiego. Nella filiera alimentare, soprattutto, fino a quando – a esito della campagna di sensibilizzazione pubblica e la petizione lanciata da chi scrive (Dongo) – i consumatori hanno iniziato a boicottare la quasi totalità dei cibi che lo contengono.
Le importazioni sono tuttavia proseguite, con destino prevalente verso la produzione di ‘biocarburanti’ (54% dell’import, nel 2018). L’Italia è così oggi il secondo produttore in UE di ‘biodiesel’ da palm oil, che viene trasformato nelle raffinerie ENI di Porto Marghera, Venezia, e di Gela.
Legambiente – insieme al Movimento Difesa del Cittadino (MDC) e Transport & Environment (T&E) – ha denunciato la pubblicità ingannevole del gasolio ‘ENIdiesel+’. (2) I dati su un’ipotetica riduzione delle emissioni gassose (‘fino al 40%’) e di CO2 (‘5% in media’) e dei consumi (‘fino al 4%’) sono di dubbio fondamento, oltreché poco chiari. E la ‘sostenibilità ambientale’ del ‘biodiesel’ da palma è falsa.
L’ingannevolezza dei messaggi pubblicitari utilizzati da ENI deriva in primo luogo dalla confusione fra il prodotto pubblicizzato ‘EniDiesel+’ e la sua componente biodiesel – HVO, Hydrotreated Vegetable Oil, chiamata da Eni ‘Green Diesel’ – che ne rappresenta il 15%. Le materie prime utilizzate nel processo di idrogenazione (Ecofining, tecnologia brevettata da ENI e Honeywell) del ‘Green Diesel’, oltretutto, sono costituite in prevalenza da olio di palma, il cui impatto sui suoli risulta problematico. (3). Secondo quanto dichiarato dalla stessa ENI,
‘l’olio di palma rappresentava nel 2017 e nel 2018 la principale materia prima utilizzata per la produzione del proprio HVO, mentre venivano gradualmente utilizzati crescenti quantità di altre materie prime ‘di scarto’ (oli vegetali esausti, acidi grassi e oleine)’. (4)
La Corte dei Conti UE, nella propria relazione 18/2016 sul sistema per la certificazione dei biocarburanti sostenibili dell’Unione europea, ha chiarito che:
– il riconoscimento dei sistemi volontari di certificazione da parte della Commissione è limitato alla verifica dei requisiti obbligatori stabiliti dalla direttiva sulle energie rinnovabili ma non garantisce la sostenibilità dei biocarburanti certificati, e
– il sistema UE di certificazione della sostenibilità dei biocarburanti non è pienamente affidabile, in quanto la valutazione non considera l’impatto sull’ambiente dei cambiamenti di destinazione dei terreni (ILUC, Indirect Land Use Change).
Nei messaggi pubblicitari, tra il 2016 e il 2019, ENI ha utilizzato in maniera suggestiva la denominazione ‘Green Diesel’, le qualifiche ‘componente green’ e ‘componente rinnovabile’ e altri vanti di ‘ispirazione ambientale’. Lo stesso termine ‘green’ evoca nel consumatore medio l’idea di un beneficio assoluto di cura (o quantomeno di assenza di danno) per l’ambiente. Ed
‘essendo di per sé privo di un significato più puntuale e comunemente comprensibile relativo appunto all’impatto ambientale di un dato prodotto o processo produttivo può pertanto essere utilizzato come elemento fondante di vanti concreti relativi alle prestazioni di un prodotto pubblicizzato solo se quest’ultimo effettivamente apporta un vantaggio ambientale dimostrabile di carattere assoluto e non relativo’. (4)
Tali messaggi riguardano un gasolio per autotrazione, ovvero un carburante che per sua natura è un prodotto altamente inquinante e che, evidentemente, non può essere considerato “green” né tantomeno attraverso il suo utilizzo è possibile prendersi cura dell’ambiente. In tal caso, l’utilizzo di vanti ambientali generici appare, dunque, creare elevata confusione sulle caratteristiche e sugli effetti dell’utilizzo di un prodotto il cui impiego ha certamente un impatto ambientale negativo, ingannando in tal modo i consumatori.’ (5)
Il termine ‘rinnovabile’, utilizzato da ENI per attribuire una valenza green al proprio biodiesel da olio di palma, è a sua volta suggestivo di un valore univoco e immediato in termini di impatto ambientale favorevole. Non compatibile tuttavia con una filiera – quella dell’olio di palma – che ha un impatto molto negativo sulle comunità locali (vittime di sistematica rapina delle terre) e su ecosistemi devastati dalla monocoltura in questione. (6)
L’agricoltura di per sé non può venire considerata fonte rinnovabile, come invece il vento, il sole, il moto ondoso, la geotermia. In ragione del suo impatto significativo e diretto su risorse scarse per definizione, quali il suolo e l’acqua.
L’olio di palma è una produzione insostenibile, la cui domanda globale deve venire arrestata. Rinnoviamo l’invito a rinunciare all’acquisto di ogni prodotto – alimentari, cosmetici, detergenti, biocarburanti – che lo contenga, e a sottoscrivere la nostra petizione #Buycott!
Dario Dongo e Giulia Caddeo
(1) Legambiente. Maxi multa per ENI, ha ingannato i consumatori sul green diesel, comunicato stampa 15.1.20.
(2) Codice del Consumo, articoli 21 e 22.
(3) Antitrust, provvedimento ENI 15.1.20, punto 28 (pag. 9). Il cambiamento indiretto dell’uso del suolo, o ILUC (Indirect Land Use Change) è l’impatto della domanda di materie prime per biocarburanti sull’agricoltura globale. Ciò potrebbe portare all’espansione del suolo disponibile e alla deforestazione altrove, con il conseguente effetto di un aumento delle emissioni di CO2. L’ILUC non è misurabile, poiché si svolge attraverso complesse interazioni economiche e si manifesta solo in piccole variazioni nelle grandi dinamiche del sistema agricolo globale. Può essere analizzato solo attraverso modelli dettagliati. Nel 2015 e nel 2016, la Commissione europea ha stipulato un contratto con Ecofys, la società Navigant e l’Istituto internazionale per l’analisi dei sistemi applicati (IIASA), per valutare ILUC con il modello GLOBIOM. Carlo Hamelinck. (2017). Climate Change, Indirect Land Use Change from Biofuels Explained. Biofuels, Policy regulation, Carbon emissions.
(4) AGCM, punti 29 e 45 del provvedimento (pagine 9 e 15).
(5) Idem c.s., punto 81 (pagina 27).
(6) Idem c.s., punto 90 (pag. 30).
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.